Perché il “pellegrino” Samaràs non commuove

Un articolo sul Manifesto di oggi titola: “Il pellegrino Samaràs non commuove” e parla della situazione disastrosa delle casse dello stato ellenico.
Se devo dire la mia, capisco benissimo perché Samaràs non commuova e lo spiego brevemente.
Samaràs è stato il maggiore responsabile della caduta del governo tecnico di Papadimos, un uomo ben visto da Europa e banche in quanto ex vicepresidente della Bce e che era riuscito a ottenere, pur in un periodo estremamente critico, una buona tranche di aiuti. Tutto questo beninteso, imponendo ulteriori misure gravose per i greci, ma non più di quanto stia facendo ora il governo Samaràs.

Perché Samaràs lo ha fatto? Perché era convinto di vincere a man bassa le elezioni, dio solo sa per quale motivo. E già solo per questa ingenuità politica andrebbe stigmatizzato come incompetente e irresponsabile.
Sappiamo tutti come è poi andata la prima tornata elettorale: la grande ascesa della sinistra radicale del giovane Tsipras e il crollo dei due partiti storici.
Con la Grecia a un passo dal baratro e in un momento in cui ogni giorno perso era prezioso, Samaràs rifiuta la proposta del Pasok di formare un governo di coalizione insieme ad altri partiti e preferisce puntare a nuove elezioni. Un altro mese di fibrillazione economica e politica non solo in Grecia e soprattutto una vergognosa campagna elettorale di Nea Democratia la quale, colpita dal 7% dei neonazisti di Alba Dorata, fa leva sul montante sentimento xenofobo trovando il capro espiatorio negli immigrati (senza aver mai abbozzato una pur minima politica di immigrazione quando era al potere) invece di puntare l’indice contro i grandi evasori fiscali (evidentemente elettori di ND e Pasok) che privano le casse dello stato greco di ben 11,2 miliardi (stime recenti).

Ora quest’uomo, che tra l’altro aveva promesso di non toccare più pensioni e salari (proprio quello che invece prevedono le nuove misure da 13,5 miliardi), pretende credibilità dai greci e dai leader europei.
A voi le conclusioni.

La crisi greca e la caccia all’ilota

Negli ultimi due mesi si sono registrati più di 150 pestaggi e aggressioni a extracomunitari a Corinto, a Patrasso, ad Atene e altrove, da parte soprattutto di squadracce dell’estrema destra. Sono i membri di quell’Alba Dorata che alle ultime elezioni ha ottenuto quasi il 7% dei voti.
Non si tratta solo di pestaggi – a volte molto violenti con uso di bastoni, tirapugni, coltelli – ma anche di incursioni all’interno di negozi gestiti da stranieri a cui si dà l’ultimatum: o chiudete entro una settimana o distruggiamo il negozio.
La cosa che stupisce di più, dice il rappresentante della comunità pakistana ad Atene, è l’indifferenza sia della gente che assiste senza reagire, sia soprattutto della polizia, totalmente assente e pochissimo reattiva se qualche ardimentoso afgano o pakistano sporge denuncia. “Lascia perdere, tanto non cambia niente. La prossima volta, picchia anche tu.”
Certo farebbe comodo una bella rissa tra autoctoni ed extracomunitari, sarebbe l’occasione buona per rispedirne a casa qualcuno.
Ed è del resto questo l’intento esplicito di quelli di Alba Dorata i quali, proprio nel periodo pre-elettorale, si vantavano apertamente di queste azioni punitive proprio per dimostrare il loro “impegno” nell’allontanare gli stranieri dalla Grecia.
La cosa ancor più drammatica è che hanno raggiunto il loro scopo. – quello elettorale, almeno per ora.
Viene spontaneo pensare a chi potrebbe toccare dopo gli extracomunitari. Ai comunisti? In fondo, è già successo in diretta tv durante un dibattito in diretta tv, quando un esponente di Alba Dorata ha preso a schiaffi e pugni una parlamentare del KKE. Da notare che prima di quel gesto le proiezioni davano Alba Dorata in calo intorno al 4%.

Tira un’aria decisamente pesante, e non solo per il caldo estivo greco.

Ippocrate senza medicine

Che la Grecia torni alla dracma o no, che il default sia dichiarato o meno, sembra ormai più una questione di forma che di sostanza: nel settore sanitario la Grecia è già in bancarotta, visto che lo stato non riesce più a pagare le medicine e nessuno è più disposto a far credito a ospedali pubblici e in generale al servizio sanitario nazionale.
Proprio qualche giorno fa una collega mi diceva che, contrariamente al solito, le hanno fatto pagare il vaccino per il figlio perché le farmacie non accettano più la copertura sanitaria statale, dato che non vengono risarcite da mesi e mesi (e per questa ragione qualche giorno fa hanno scioperato).

Sempre più frequenti sono i casi di malati di cancro che non riescono a reperire i medicinali, spesso costosissimi, per le loro cure: qualche giorno fa alla radio il caso di una donna che aveva assolutamente bisogno di un farmaco (costo: quasi 5000 euro) che il servizio nazionale non eroga più. “Si rivolga agli ospedali”, le dicono. Ma gli ospedali rifiutano di darle il farmaco: “Ne abbiamo a malapena per i nostri ricoverati”.

Un buco che ad oggi ammonta a 44 miliardi di euro e l’associazione di fornitori di materiale medico ha annunciato che dal prossimo martedi cesseranno l’erogazione anche di siringhe, garze, guanti e simili a sei dei maggiori ospedali della capitale. Sono solo i primi effetti di un collasso che ormai risulta evidente, quotidiano, drammaticamente reale.

Von Clausewitz sosteneva che la politica è la guerra condotta con altri mezzi, ma visto che ormai la politica è succube dell’economia finanziaria e le armi della finanza sono il corrispettivo di quelle nucleari, non penso sia esagerato dire che i suoi effetti sugli stati, sono proprio quelli di una guerra: economia al collasso, popolazione in ginocchio, servizi basilari annientati.

Non c’è più bisogno di bombardamenti, la corsa agli armamenti sembra futile e infantile di fronte alla desolazione di cui è capace la rapacità e l’assoluta immoralità degli speculatori, la corruzione su vasta scala, l’indifferenza politica, il capitale assurto a unico criterio di misura delle cose.

E Atene, probabilmente, rappresenta solo l’inizio.